giovedì 17 settembre 2009

I bambini migranti.


Graziella Favaro, I bambini migranti, Milano, Giunti Progetti Educativi, 2001

Nel testo “I bambini migranti”, edito da Giunti Progetti Educativi in collaborazione con l’Assessorato alle periferie, al decentramento e all’immigrazione del Comune di Catania, viene trattato il delicato tema dell’immigrazione. Negli ultimi anni il fenomeno migratorio è notevolmente aumentato, in quanto persone di diverse nazionalità si recano nel nostro Paese conducendo uno stile di vita che tende sempre più ad avvicinarsi al nostro. Ciò nonostante tale inserimento risulta ancora difficoltoso, poiché le barriere mentali, e quindi il modo di pensare della gente, rimane del tutto limitato. Proprio per questo è necessario educare tutti all’accoglienza, avendo massimo rispetto di coloro che per svariate ragioni lasciano la loro terra per avventurarsi in una regione come la Sicilia, ricca di bellezze artistiche e naturali, ma nel contempo arida e focosa. In questo senso la scuola assume un ruolo determinante nel difficile e delicato compito di accogliere chi è diverso da noi per quanto riguarda la lingua, il colore della pelle, gli usi e costumi e la religione. Essa diventa un luogo privilegiato di incontro, confronto e scambio e pertanto educatori ed insegnanti assumono una notevole e fondamentale importanza nel laborioso percorso educativo. Il fenomeno della migrazione viene vissuto da adulti e bambini in maniera diversa in quanto per i primi lo stare in una terra straniera implica, nella maggior parte dei casi, la necessità di restare soltanto per un breve periodo di tempo, nell’arco del quale l’obiettivo principale consiste nell’accumulare denaro sufficiente per poter poi fare ritorno nella propria terra; al contrario per i piccoli diventa occasione di riscatto perché crescere in un territorio diverso, relazionarsi con gente diversa offre loro un futuro completamente differente, in quanto le situazioni del vivere quotidiano li prepareranno per la costruzione di una posizione più solida per il domani. Tale condizione fa sì che il bambino diventi la motrice per far uscire l’adulto dal guscio in cui si trova a vivere, offrendogli la possibilità di non essere invisibile nella nuova società in cui si trova ad operare. Inoltre l’elevato numero di bambini nati nel nostro Paese, al compimento della maggiore età, potrà richiedere la cittadinanza italiana.
Solo così può essere elevata l’uguaglianza delle opportunità e dei diritti e il rispetto delle diversità.
Cos’è allora l’accoglienza? È l’insieme dei dispositivi, delle circostanze, del clima e degli atteggiamenti. Accogliere vuol dire rimuovere gli ostacoli che impediscono ai bambini e alle famiglie di altre culture di accedere ai servizi educativi per tutti. Tale capacità rende meno traumatica l’esperienza del distacco in quanto i piccoli purtroppo, nella maggior parte dei casi, vengono separati dalle figure di riferimento e dai luoghi natali sin dalla tenera età. Questo provoca uno stato di shock, poiché l’adattamento nel nuovo Paese ha tempi molto più lunghi del previsto. In questa fase il bambino tende a prediligere la lingua della zona in cui si trova, accantonando quella d’origine perché fonte, a suo avviso, di vergogna e diversità. Il soggetto, dunque, dall’essere bilinguista diventa monolinguista. Come si previene, allora, il distacco specialmente tra madri e bambini in età compresa da zero a tre anni? Diversi sono i progetti mirati a questo scopo, come la realizzazione di comunità-alloggio per madri sole con figli, forme di affido part-time o volontariato.
Un altro luogo fondamentale per l’incontro e il confronto viene offerto dai servizi educativi per l’infanzia e dalla scuola che rendono parallelo il rapporto tra il settore pubblico e la famiglia.
Quest’ultima costruisce un’immagine dello spazio in cui si trova a vivere, attribuendo ai bambini grandi aspettative ed attese, velate giustamente da timori e diffidenze. Il bagaglio di sogni, desideri e speranze, che si concretizza con l’inserimento dei figli a scuola, allevia la pena dell’esilio e dà senso al nuovo viaggio intrapreso. La famiglia immigrata, attraverso l’acquisizione di una nuova lingua, compie dunque una migrazione nella migrazione. Per i genitori stranieri la scuola dei loro bambini costituisce un luogo privilegiato dove stabilire un contatto continuativo con gli educatori e gli insegnanti, informarsi, prendere la parola, esprimere dubbi e porre domande, uscire da una condizione di isolamento e solitudine. Purtroppo, a volte, tra scuola e famiglie straniere possono nascere delle incomprensioni dovute alla difficoltà di comunicare a causa di lingue diverse. Negli ultimi anni le istituzioni scolastiche si sono servite di supporti cartacei con messaggi in varie lingue (ad esempio il manifesto “Benvenuti nella scuola italiana” edito da Zanichelli) e, in seguito, gli audiovisivi. Imparare l’italiano non è sempre facile, in quanto i bambini stranieri portano nel loro DNA la L1 e quindi la lingua materna parlata sin dal primissimo momento nei luoghi a loro più intimi. L’apprendimento della L2, e quindi quella parlata nel nostro Paese, avviene in due modi: nel primo caso attraverso le strategie sociali, cioè tutte quelle forme di comportamento usate per comunicare con l’altro; nel secondo caso le strategie cognitive, dove entrano in gioco processi più ampi e delicati che riguardano il cervello. Ciò nonostante trova terreno fertile la comunicazione a due o nel piccolo gruppo, in cui i bambini, attraverso lo scambio di termini, frasi e idee, diventano sempre più competenti nel padroneggiare le complesse strutture della grammatica italiana.
Strumento fondamentale per l’inserimento del bambino e per l’acquisizione del linguaggio è il racconto e, di conseguenza, l’ascolto. Questi momenti di narrazione consentono lo scambio di esperienze personali e valorizzano le differenze, promuovendo la presa di parola da parte dei bambini.
Federica Interlandi
Simona Zaccaria

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