A. Colombo, A. Genovese, A. Canevaro (a cura di)
Educarsi all'interculturalità. Immigrazione e integrazione dentro e fuori la scuola, Trento, Centro Studi Erickson, 2005.
Il testo curato da Colombo, Genovese e Canevaro pone un’attenzione particolare al concetto di spazio, distinguendo tra spazio verticale (comprensione di quella che è stata la storia di un’idea, di una persona) e spazio orizzontale (diffusione dell’informazione e quindi della notizia sull’attuale), che domina sul primo. Lo spazio orizzontale diventa, dunque, il motivo prevalente che impedisce di prendere in considerazione – non avendo il tempo e gli strumenti per cercare di capire – da quale storia viene l’altro e di presentare questa storia. Da tale sfondo nasce l’esigenza di avere strumenti che permettano di muoversi verso l’attuale attraverso la capacità di connessione con elementi ormai passati.
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta si sviluppò il fenomeno migratorio, soprattutto in Germania, Francia e Regno Unito. Dopo pochi anni tale fenomeno si estese anche ai Paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo). Si stava compiendo il lungo processo di trasformazione dell’Europa da area di partenza ad area di arrivo. L’immigrazione italiana, in particolare, è un fenomeno strutturale con una sua storia ormai trentennale. Gli immigrati – e le loro famiglie – fanno ormai parte in modo stabile della vita quotidiana degli italiani, a tal punto che molti di loro coltivano progetti di permanenza, senza per questo voler (o dover) necessariamente rinunciare alle proprie identità culturali originarie.
Questo libro presenta i risultati di un’ampia e articolata ricerca condotta presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna da un gruppo di studiosi il cui obiettivo comune è collocare il concetto di integrazione al centro dell’analisi, cercando di capire «cosa fanno» coloro che si trovano nel nostro Paese, piuttosto che cercare di capire «come arrivano».Il testo è suddiviso in due parti: la prima, composta di tre capitoli, è intitolata “Gli immigrati tra discorso pubblico e integrazione sociale”, la seconda, intitolata “L’integrazione scolastica ed extrascolastica dei minori”, è costituita da quattro capitoli.
La nascita in Italia di un discorso pubblico sull’immigrazione non deriva dall’emergere di una distinzione italiano/straniero, quanto dal progressivo codificarsi di una distinzione tra i diversi “tipi” di stranieri presenti nel Paese, dal progressivo istituzionalizzarsi di una distinzione tra «stranieri» ed «immigrati». Nei settimanali italiani degli anni Settanta, ad esempio, tale distinzione veniva operata attraverso il ricorso a strategie di presentazione della notizia fortemente differenziate. Gli «immigrati» venivano definiti facendo riferimento all’occupazione svolta o a definizioni razziali; al contrario, l’appellativo di «straniero» era riservato ai residenti stranieri di classe sociale medio-alta. Gli anni Ottanta, invece, rappresentano un passaggio fondamentale nella storia delle reazioni pubbliche all’immigrazione, poiché il fenomeno diventa una presenza quotidiana nel flusso informativo e la sua rilevanza per il futuro del Paese risulta sempre meno contestata. A ciò corrispondono anche cambiamenti nel modo di descrivere il fenomeno, sia relativamente alla caratterizzazione degli individui che sono oggetto degli articoli, sia relativamente al contesto di riferimento della notizia stessa. Ciononostante aumenta il ricorso ad un vasto insieme di riferimenti di tipo razziale e si assiste alla comparsa di nomignoli più o meno scherzosi, quali ad esempio vu cumprà, basato sull’associazione tra gli immigrati e il lavoro ambulante. Tuttavia è nell’ultimo quindicennio che si è sviluppato il discorso pubblico sull’immigrazione, mettendo in luce l’esistenza di un rapporto significativo tra la rappresentazione del migrante nei mass media e la sua percezione da parte della società più in generale. I media esercitano un’influenza decisiva nella costruzione delle rappresentazioni sociali individuali e nella formazione di un’opinione pubblica sul fenomeno in questione. Infatti, l’adozione da parte dei media di certe espressioni ne legittima l’utilizzo e con esso la particolare immagine della realtà che tale terminologia indirettamente promuove. Tuttavia il settore in cui risulta più problematico il confronto è costituito dalle religioni. Poiché nei costumi religiosi sono inclusi anche comportamenti in contrasto col nostro modo di considerare i diritti personali e la convivenza civile, la religione si presta ad essere vista come un ostacolo all’integrazione. Ma, com’è noto, una parte rilevante dei contenuti culturali di cui gli immigrati sono portatori è legata all’eredità religiosa. Come ha affermato il sociologo francese E. Durkheim, la religione è ciò che fonda, ancorandolo ad una realtà soprannaturale, il senso del legame e quindi la specificità dell’identità personale e collettiva. Non è casuale, infatti, che spesso gli immigrati ricreino, nel Paese d’accoglienza, comunità religiose somiglianti a quelle lasciate in patria. In questo ambito, bisogna prestare particolare attenzione alla struttura di congregazione che assumono le nuove aggregazioni religiose. Caratteristica della congregazione – basata sull’affinità tra i partecipanti e sulla loro libera scelta di partecipare – è di essere un punto di riferimento per gli immigrati sparsi su un’area geografica alquanto vasta.
Come accennato in precedenza, la seconda parte del testo si occupa dell’integrazione scolastica ed extrascolastica dei bambini. L’esperienza della migrazione, per i più piccoli, può essere causa di particolari problematiche, dovendo essi conciliare dentro sé richieste diverse, che provengono da un lato dalla famiglia e dall’altro lato dalla scuola e dalla società in genere. A loro è richiesto di integrarsi nel nuovo Paese, ma nel contempo di mantenere i legami con le origini culturali della famiglia. Il momento dell’ingresso a scuola è particolarmente importante e delicato, in quanto può essere vissuto dal piccolo migrante come una separazione dalla famiglia, non solo fisica, ma anche simbolica. Egli apprende la lingua e la cultura del Paese d’accoglienza e, durante tale processo, in un certo senso diventa “qualcos’altro” rispetto al nucleo familiare. In tal modo si crea una netta demarcazione tra la famiglia ed il contesto scolastico e sociale in genere. Ecco perché alcuni bambini non riescono ad inserirsi nel mondo scolastico: perché tale inserimento comporta la rottura affettiva con i propri genitori! Dunque, le difficoltà nei processi d’apprendimento spesso sono da attribuire a cause nascoste e profonde, strettamente collegate all’esperienza della migrazione. Una strategia didattica alquanto efficace consiste nella conversazione di gruppo, in cui ogni bambino – straniero o meno – ha la possibilità di raccontare il proprio vissuto, la propria esperienza, scolastica ed extrascolastica; proprio il metodo del raccontarsi consente di scoprire aspetti di somiglianza o differenza da cui hanno inizio ulteriori riflessioni sulla propria condizione. Gli argomenti affrontati all’interno delle conversazioni possono essere i più diversi. A volte emergono tematiche spinose e difficili che riguardano il sentirsi rifiutati e non capiti; altre volte, nei discorsi dei bambini italiani, emergono pregiudizi, stereotipi e forme più o meno velate di discriminazione, molto spesso appresi all’interno dei contesti familiari e sociali. Un altro problema rilevante legato al contesto scolastico è la comprensione della lingua nei compiti assegnati per casa. La maggior parte dei bambini migranti, purtroppo, non ha il sostegno dei genitori, non possedendo questi ultimi un’adeguata competenza della lingua del Paese ospitante. In tal modo molti bambini riscontrano enormi difficoltà nello svolgere i compiti assegnati, anche perché spesso manca il sostegno meta-cognitivo dell’insegnante che potrebbe aiutarli a capire il perché del loro stallo. Per meta-cognitivo si intende la comprensione delle strutture che stanno alla base della lingua e, quindi, la capacità non solo di imparare il significato di un determinato termine, ma anche la capacità di saperlo contestualizzare, ad esempio, all’interno di un testo di matematica. Tutto ciò è fondamentale perché la buona riuscita scolastica è importantissima per un inserimento consapevole nella società ospitante. Spesso però la lentezza viene confusa col ritardo: ritardo a raggiungere gli obiettivi, a svolgere il programma. Dunque la pedagogia interculturale, come sostengono anche i curatori del presente testo, dovrebbe rivedere le metodologie di insegnamento cooperativo e di apprendimento di gruppo, utili non solo per migliorare la coesione tra bambini, ma anche per facilitare l’acquisizione di competenze da parte di tutti in una prospettiva di incontro e scambio interculturale, poiché per un alunno straniero l’apprendimento della nuova lingua si intreccia inesorabilmente con la conoscenza della cultura che la alimenta giorno per giorno.
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