domenica 18 ottobre 2009

Lingue in contatto a scuola. Tra italiano, dialetto e italiano L2


I. Tempesta e M. Maggio - GISCEL,
Lingue in contatto a scuola. Tra italiano, dialetto e italiano L2,
Milano, FrancoAngeli, 2002.


Il G.I.S.C.E.L. (Gruppo di Intervento e di Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica) si costituì il 25 Aprile 1975 – giorno in cui fu approvato il testo delle Dieci Tesi per l'educazione linguistica democratica messo a punto da Tullio De Mauro e dai suoi collaboratori – all'interno della Società di Linguistica Italiana con lo scopo di studiare problemi sia teorici che sociali legati all'educazione linguistica nell'ambito scolastico.
Il volume rappresenta un momento di riflessione sulla situazione linguistica in cui opera la scuola di oggi: convivono insieme nella stessa classe bambini che parlano italiano, bambini di matrice dialettofona e bambini stranieri che si apprestano per la prima volta al contatto con la nostra lingua e la nostra cultura. La scuola si trova quindi a dover operare in una realtà complessa in cui accanto ai tradizionali svantaggi sociolinguistici di sempre c’è un sempre più massiccio allargamento del ventaglio delle lingue e delle varietà presenti in ogni singola classe. Seppure possa sembrare strano, a volte diventa opportuno intervenire nei confronti degli alunni di matrice dialettofona e dei bambini stranieri allo stesso modo in quanto incontrano entrambi le stesse difficoltà iniziali nel contatto con l’italiano.
Il volume, curato da I. Tempesta e M. Maggio, raccoglie i contributi di tanti studiosi specializzati nel campo. Si tratta di un testo diviso in tre parti, ognuna dedicata a una grande tematica:
  1. l’italiano come L2,
  2. dall’accoglienza all’integrazione,
  3. variazione linguistica e nuove generazioni.
Nella prima sezione troviamo in apertura il contributo di M. Vedovelli, il quale osserva l’italiano L2 in Italia e nel mondo. Nel primo caso prende in considerazione i giovani studenti che frequentano le nostre scuole e provengono da famiglie immigrate o multiculturali, nel secondo caso analizza il legame tra la nostra lingua e gli studenti stranieri nel loro paese d’origine (studenti dunque che studiano l’italiano come lingua straniera) o i giovani di origine italiana che vivono all’estero. La nostra lingua occupa il diciannovesimo posto nel mondo e registra circa settanta milioni di parlanti nativi, è inoltre sempre più studiata all’estero e i motivi che spingono al suo studio sono di tipo culturale, personale e di lavoro. Nel caso invece di alunni immigrati, l’italiano rappresenta una lingua di contatto e di orientamento per la costruzione delle varie personalità.
I capitoli che seguono riguardano: strumenti di valutazione per le competenze linguistico-comunicative dei bambini stranieri frequentanti la scuola elementare; lingua e cultura dei Rom abruzzesi; proposte didattiche per il passaggio da un apprendimento contestualizzato a uno decontestualizzato della nostra lingua come L2; caratteristiche delle interlingue di bambini frequentanti la scuola italiana e provenienti da paesi diversi; rapporto tra bambini albanofoni e scuola italiana.
La seconda sezione del testo si basa sui contributi di alcuni studiosi che hanno portato avanti ricerche sul rapporto fra scuola e immigrazione: vengono esaminati da più angolazioni la percezione della diversità in classe e i diversi orientamenti che questa può produrre nel rapporto con gli altri. M. T. Romanello, ad esempio, si sofferma sui problemi che si vengono a creare all’arrivo del bambino straniero in classe e sui comportamenti dei docenti italiani davanti a situazioni simili: essi devono essere prima di tutto collaborativi, devono saper mediare le culture in modo tale da far inserire in breve tempo l’apprendente straniero nel gruppo-classe, devono saper coinvolgere le famiglie e devono soprattutto superare gli eventuali pregiudizi nei confronti di chi arriva nel nostro Paese da situazioni sociali, politiche, religiose, linguistiche totalmente differenti.
Due capitoli sono rivolti alla fase successiva a quella della prima accoglienza: si portano alla luce le difficoltà che gli alunni stranieri incontrano quando – una volta capaci di usare l’italiano per comunicare – devono utilizzare l’italiano studiare. Spesso le scuole italiane non sono ben attrezzate per garantire il superamento di questo problema e più cresce l’età della studente e la scuola che deve frequentare, più difficoltà vengono incontrate: è il caso ad esempio delle scuole superiori. In questo grado di scuola si richiede allo studente di affrontare processi di astrazione, riflessione e generalizzazione per lo studio delle varie discipline: se si considera il fatto che già tutto questo risulta difficile per uno studente madrelingua, immaginiamoci le difficoltà per lo studente non italofono. Si deve inoltre considerare che l’adolescente immigrato che frequenta le nostre scuole superiori ha modalità di apprendimento peculiari a seconda di vari fattori: F. Gallina, autrice del capitolo su cui mi sto soffermando, dice che tutto questo dipende dalla durata di permanenza in Italia, dai processi cognitivi ai quali sono abituati gli studenti a seconda del Paese d’origine e anche dal cambiamento e dalla ristrutturazione dell’identità personale tipici i quest’età.
Altri contributi di questa seconda parte sono rivolti alla necessità di educazione interculturale come percorso indispensabile verso la convivenza e l’arricchimento reciproco in classi miste; alla percezione dell’altro (vengono analizzati gli esiti di varie sperimentazioni svolte dalle autrici del capitolo dedicato a questo tema); vi è inoltre un capitolo-focus sulla percentuale di alunni con cittadinanza non italiana in alcune regioni d’Italia (32% in Puglia, 29% in Sicilia e 16% in Campania).
Nella terza e ultima parte sono esaminati vari aspetti linguistici e sociolinguistici che interessano il mondo infantile-adolescenziale e si sottolinea quanto incida, sulla formazione linguistica del bambino, il rapporto fra l’insegnamento e lo sviluppo della competenza linguistica nelle funzioni pragmatiche. A. A. Sobrero dedica un capitolo all’analisi dei documenti ministeriali e della realtà scolastica italiana in cui, ad esempio, manca ogni riferimento ai dialetti nonostante si tratti del sistema scolastico di un Paese – l’Italia – fortemente connotato dalla dialettofonia. Nei capitoli successivi vengono analizzati i comportamenti di bambini italofoni della Riviera del Brenta (della fascia d’età compresa tra i 6 e i 10 anni) che usano il dialetto in condizioni di semi-dialettofonia di ritorno; l’uso dei tempi verbali e i mezzi che due gruppi di studenti (uno di dialettofoni e uno di immigrati) di scuola media di Palermo utilizzano per esprimere ancoraggi temporali in testi narrativi da loro stessi prodotti. Ci si sofferma poi sulla competenza linguistica del bambino al momento del suo ingresso nella scuola di base; sui fenomeni di contato fra italiano e dialetti vari; sulle modalità di organizzazione di un testo narrativo (in italiano e in dialetto) in un gruppo di bambini e in uno di anziani; sul decadimento e sull’evanescenza del dialetto. M. Castiglione definisce in un capitolo da lei curato delle ipotesi sui processi di ricostruzione linguistica diffusi tra adolescenti siciliani compresi trai 15 e i 16 anni.
Trattandosi di un testo che nasce per racchiudere i risultati prodotti da varie ricerche effettuate dagli autori dei singoli capitoli, si trovano in esso molti grafici e schemi che riportano i dati dei loro studi; il tutto è racchiuso in 233 pagine e la consultazione è facilitata dall’ indice dei nomi alla fine del testo.
Carmen Oliva

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