D. Zoletto, Straniero in classe. Una pedagogia dell'ospitalità,
Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007.
Straniero, immigrato, extracomunitario. Termini, questi, per indicare lo stesso tipo di diversità che caratterizza, oggi, il nostro vivere quotidiano. Persone che giungono nel nostro Paese e che molte volte vengono accolte con distanza e diffidenza. Queste ultime possono certamente trasformarsi in curiosità ed ospitalità, noi stessi possiamo diventare esperti di ospitalità. Questo è il metodo che Davide Zoletto ci propone: aggiungere la pedagogia dell’ospitalità come ingrediente fondamentale di qualsiasi ricetta didattica. Ospitare vuol dire innanzi tutto accogliere e sappiamo bene quanto la fase dell’accoglienza sia fondamentale per tutto il processo di crescita e formazione dell’allievo non italofono. L’insegnante di oggi, però, deve essere consapevole di dover accogliere non nel proprio territorio, ma nella terra di mezzo, dove tutti siamo stranieri e spaesati, un posto in cui la voglia di decostruirsi e ripartire da zero trascina gli individui nella dimensione della comprensione e dell’ascolto. A questo, dunque, serve quella competenza indicata da un termine abbastanza usato nel settore della formazione: la flessibilità. Quest’ultima deve garantire la presenza dell’insegnante “sia qui che là” come direbbe Davide Zoletto, sia nella dimensione del neo arrivato che in quella dell’autoctono. Nell’accoglienza, però, si rischia di non capire in maniera approfondita l’altro e l’unico traguardo che si raggiunge, dovendo seguire liturgicamente dei protocolli, è quello di sottoporre ad una scrupolosa disamina l’altro, che molte volte si sente risucchiato dal vortice tenebroso dello spaesamento. Questa discrasia comunicativa sfocia, poi, nel totale fallimento se gli insegnanti delegano il compito di occuparsi dei bisogni linguistici e culturali dell’allievo ai mediatori culturali, i quali si riducono ad essere dei badanti e non possono fornire alla scuola il meglio del loro operato. Se, invece, si attua un inserimento in classe ragionato (non facente riferimento esclusivamente ai problemi comunicativi) e l’insegnante da granitica presenza si trasforma in un buon conduttore di lingua e di comunicazione, si riesce certamente ad instaurare un affascinante equilibrio che può portare soltanto al desiderio di crescere insieme. Crescere insieme, però, porta anche ad un cozzare di opposizione e resistenza tra l’educatore e l’apprendente. Davide Zoletto, infatti, parlando della didattica della lingua seconda propone il riuscito paragone tra l’educatore e Robinson Crusoe[1]. Da questo parallelo con il celebre romanzo di Daniel Defoe potremmo concludere che la lingua seconda sarà sempre ed inevitabilmente la lingua del padrone, dell’autoctono. Ferdinand De Saussure ci ha mirabilmente dimostrato quanto la lingua sia un organismo vitale. Non ci resta che imparare a padroneggiarla in maniera da non pretendere di possederla, ma percorrendo un cammino speculativo che porti, come ci insegna Jacques Derrida, a non padroneggiarla mai del tutto. Come per la linguistica questo concetto è valido anche per la Didattica Interculturale che ci deve portare a non considerarci morbosi possessori della nostra cultura, ma disponibili guide di conoscenza. Quest’ultima è la risorsa per eccellenza non solo per gli allievi non italofoni, ma anche per gli insegnanti che vogliono sentirsi stranieri in classe.
Giuseppe Interlandi
[1] Cfr. Giuseppe Interlandi, Tesi di Laurea, Dall’Interlingua all’Intercultura. Un percorso linguistico tra le esigenze sociali, Catania, luglio 2009, pubblicata da www.tesionline.it , cap. III.
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