A. De Marco, Acquisire secondo natura,
Milano, Franco Angeli, 2005
L’autrice, attraverso l’analisi della produzione linguistica spontanea di un bambino (Matteo) nel corso del suo sviluppo a partire dall’età di un anno fino a quella di tre anni e mezzo, cerca di dimostrare i meccanismi di sviluppo del linguaggio. Anna de Marco riesamina così le teorie di acquisizione della L1 sulla base di un caso specifico, l’italiano, prestando particolare attenzione alla morfologia nominale e verbale di questa lingua.
Il libro si suddivide in due parti: nei primi tre capitoli viene affrontata la questione teorica e metodologica, nella seconda parte l’analisi dei dati linguistici raccolti.
In particolare, il primo capitolo rappresenta un percorso storico degli studi sul linguaggio infantile a partire dagli anni ’30. Si delineano due correnti di pensiero, quella innatista (Chomsky), secondo la quale la grammatica di ogni lingua è presente nel bambino sin dalla nascita (ipotesi dell’inclusione forte) e cresce e matura da sola (ipotesi di ristrutturazione) e quella costruttivista, che valorizza l’importanza dell’input nell’attuarsi del processo d’apprendimento, della costruzione e ricostruzione delle strutture grammaticali nel corso dell’acquisizione, senza negare che in gioco ci sia anche il patrimonio genetico.
Il secondo capitolo si sofferma sull’analisi delle condizioni biologiche, cognitive e sociali dell’acquisizione del linguaggio, con una peculiare attenzione alle caratteristiche dell’input., cioè dell’esperienza che il bambino fa della lingua attraverso i segnali ricevuti. I fattori che influenzano la percezione e la produzione linguistica sono: la chiarezza (parlare lentamente, con chiarezza e ripetizioni), l’espressività (uso di diminutivi, simpatici eufemismi, tono bambinesco), la semplificazione di sistemi complessi. Per alcuni studiosi alcuni bambini iniziano a parlare perchè spinti a parlare di qualcosa (funzione referenziale del linguaggio), mentre altri decidono che la lingua è utile per l’interazione sociale (funzione espressiva). Di certo ci sono lingue il cui sistema flessivo è più facile da apprendere di altre. Le lingue flessive, ad esempio, sono più difficili d’apprendere delle agglutinanti. Un problema essenziale nelle primissime fasi dell’apprendimento è la segmentazione dell’input: il bambino deve scoprire le regolarità strutturali presenti nel segno linguistico che gli permettono di rendersi conto delle trasformazioni morfosintattiche da cui estrarre regole e schemi generali.
Il terzo capitolo enuncia l’impianto teorico e metodologico del lavoro compito dall’autrice. Per la spiegazione dei fatti linguistici viene presa come riferimento la morfologia nominale, secondo la quale ogni componente della grammatica ha una sua funzione oltre quella comunicativa e cognitiva. Queste funzioni condizionano la forma degli elementi.
Il quarto e quinto capitolo analizzano lo sviluppo, rispettivamente, della morfologia nominale e verbale. Sono state individuate tre fasi: una fase pre-morfologica, in cui gli elementi linguistici non hanno ancora la funzione che hanno nel linguaggio degli adulti. Si assiste alla presenza di operazioni extramorfologiche, come troncamenti (i mali invece di animali), fusioni (pizzorante), reduplicazioni (bau, bau), le onomatopee. Le parole sono ridotte e rappresentano l’equivalente di una frase intera, appartengono alle classi più produttive, sono assenti i plurali e l’articolo è dato dalla vocale sprovvista della consonante. Nella seconda fase, la proto-morfologica, i sistemi della grammatica cominciano a svilupparsi e quindi compaiono molti più plurali, comincia la formazione di enunciati complessi, i verbi sono espressi nella maggior parte dei casi al presente, si ha qualche comparsa di participi, primi da soli e poi con l’ausiliare, il genere maschile viene acquisito subito e sovraesteso, si ha una produzione vera e propria degli articoli secondo la seguente sequenza: il › la › le › l’ › lo › gli (i, li) (). Nella terza fase, infine, quella morfologica, si completa l’organizzazione del modulo morfologico del bambino e il repertorio acquisito diventa confrontabile con quello dell’adulto. Un caso particolare è dato dai diminutivi che caratterizzano, non solo il linguaggio dei bambini sin dai primissimi stadi dell’ acquisizione, ma anche il linguaggio degli adulti rivolto ai bambini. Essi sono molto importanti perché sono la prova che l’apprendimento linguistico è motivato anche da basi extralinguistiche. Ad emergere, inizialmente, è il significato pragmatico, legato situazione pragmatica del bambino o ad oggetti a lui appartenenti o ad oggetti appartenenti alla sfera dei suoi interessi. Solo successivamente viene espresso il significato semantico (piccolo) e solo verso la fine della fase proto-morfologica viene acquisito il concetto di “piccolezza”, solo nel momento in cui si sviluppa l’uso degli accrescitivi. Lo sviluppo della morfologia verbale è graduale, partendo da caratteristiche meno marcate e più naturali fino a quelle più marcate. Si ha inoltre, la graduale comparsa di alcuni verbi e di mini-paradigmi attraverso una lenta estensione di forme del verbo per un certo numero di lemmi. Queste prime formazioni sono ancora analogiche e accumulate in seguito alla familiarità con forme acquisite per imitazione. Il B, dunque, non fa altro che selezionare i tempi, le persone e le macroclassi dei verbi più frequenti e meno marcati presenti nell’input.
L’ultimo capitolo, il sesto, conclude l’analisi compiuta. La conclusione alla quale giunge l’autrice è che nel processo di acquisizione linguistica, capacità innate e costruzione sociale interagiscono.
Il testo è rivolto a un pubblico colto e specialistico.
Cristina Arena
Nessun commento:
Posta un commento