E. Ferreiro, A. Teborosky,
La costruzione della lingua scritta nel bambino,
Firenze, Giunti Barbera, 1985
(ed. italiana a cura di Pontecorvo - Noce e con prefazione di H. Sinclair)
Il libro di cui mi sono ritrovata a leggere la presentazione di Clotilde Pontecorvo e Grazia Noce è rivolto a quegli adulti che vogliono saperne di più sul bambino cognitivo che ha fatto il suo ingresso nei nuovi – oggi non più tanto nuovi dato che sono passati trent’anni dalla stesura del libro in versione originale – programmi per la scuola elementare e sul processo di acquisizione della lingua scritta a partire dai primissimi anni di scuola. Le indagini proposte e discusse nel libro puntano a individuare i processi cognitivi che stanno alla base del processo di acquisizione della lettura e della scrittura, a comprendere la natura delle ipotesi infantili e a scoprire il tipo di conoscenze possedute dal bambino e la loro evoluzione che si svolge in gran parte prima dell’apprendimento scolastico sistematico.
La presentazione si intitola Il bambino e la lingua scritta e inizia portando come esempio una situazione in cui due bambini si sono ritrovati a interpretare in maniera differente la scritta posta su uno scaffale nel refettorio della loro scuola materna a Roma. Si tratta di un esempio molto significativo che serve a spiegare in che modo i bambini riescono a rapportarsi con la lettura nonostante la loro tenera età. Da un lato entrambi cercano di dare un significato ai segni scritti e fanno dunque delle anticipazioni di significato; dall’altro le due situazioni si differenziano perché un bambino conosce già il codice della nostra lingua scritta e infatti dà il corretto significato alla scritta posta sullo scaffale, mentre l’altro bambino non è capace di farlo in quanto è arrivato solo a capire che c’è una corrispondenza tra un segno e una emissione sonora.
Con questo testo si guarda insomma ai processi attraverso cui il bambino si appropria dell’oggetto-scrittura: a tal proposito – come dicono le due esperte – non si deve dimenticare l’importanza da attribuire alla natura dell’apprendimento stesso. Essa infatti non è solo legata alle caratteristiche sociali e funzionali della lingua scritta, ma anche alle prospettive etnografiche e storiche relative alla storia dell’alfabetizzazione del singolo individuo.
Nota particolarmente importante della presentazione è data dal fatto che dagli esperimenti di cui si parla nel testo si è arrivati a rilevare due problemi che più di altri si presentavano nei bambini: uno è quello relativo alla differenza tra disegno e scrittura, ovvero tra ciò che rappresenta l’oggetto e ciò che rappresenta il nome; l’altro è quello della possibile ambiguità di un sistema di scrittura sillabico che invece resta assente in un sistema alfabetico (si tratta di quell’ambiguità di cui si rende conto il bambino quando si trova a scrivere parole diverse con lettere uguali).
Il bambino prescolare si avvicina al processo di comprensione-conoscenza del sistema di lettura-scrittura attraverso quattro stadi: a) presillabico, b) sillabico, c) sillabico-alfabetico e d) alfabetico. Si tratta di un soggetto che impara che cosa vuol dire leggere-scrivere e impara a leggere e a scrivere compiendo e vedendo compiere atti simili; è un soggetto insomma che inizia la sua evoluzione in questo campo da autodidatta molto prima di fare il suo ingresso alla scuola elementare (non capita quasi mai che un bambino di provenienza urbana non abbia mai avuto esperienza di lettura e scrittura prima del suo ingresso a scuola).
A questo proposito le autrici della suddetta presentazione definiscono i due processi di lettura e scrittura: la lettura è coinvolgimento del lettore con tutto ciò che contraddistingue la sua competenza linguistica ed è un’attività priva di effetti visibili e dunque più complessa da capire; scrivere rimanda alle attività di ordine concettuale che il bambino deve mettere in atto per comprendere il sistema lingua-scritta, la scrittura è più facilmente assimilabile perché permette insieme un’azione modificatrice dell’azione stessa attraverso i segni che lascia. Successivamente viene rimproverato alla scuola italiana di mettere i bambini nel primo periodo di avvicinamento al mondo della lingua scritta davanti a dei simboli, a delle regole che vengono visti come oggetti puri: i bambini invece devono assimilare da situazioni e contesti sociali. Inoltre appare evidente che quando all’inizio della sua carriera scolastica un bambino incontra notevoli difficoltà il fatto sia da attribuire a una scarsa familiarità con la lingua scritta, a poca frequenza di atti di lettura e via dicendo quindi compito del docente è di non sottrarlo a questa esperienza facendogli fare altro – come spesso accade.
Carmen Oliva
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