mercoledì 30 settembre 2009

Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse.


P.E. Balboni,

Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse,
Torino, UTET, 2006


Il testo fa parte della collana Le lingue di Babele diretta dallo stesso autore Paolo E. Balboni – professore ordinario di Didattica delle lingue all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È un testo con una struttura abbastanza semplice, facile da consultare anche perché ogni capitolo è preceduto da una presentazione dei contenuti che si incontreranno, è ricco di tabelle, schemi e grafici che accompagnano la spiegazione dei vari argomenti facilitandone la comprensione ed è seguito dall’elenco delle nozioni che sono state acquisite. Inoltre la precisa divisione dei capitoli in
paragrafi e sotto-paragrafi di modeste dimensioni permette di avere uno sguardo particolarmente attento verso i vari argomenti senza perdersi nella loro ricerca.
Il volume si divide in tre parti seguite da due appendici: la prima parte si sofferma sugli aspetti comuni a tutte le situazioni glottodidattiche analizzando gli attori, i contenuti, la comunicazione, i modelli operativi e gli strumenti; la seconda parte analizza gli aspetti peculiari delle diverse situazioni di insegnamento delle lingue straniere con una ripartizione in base all’età dell’utenza che un docente si trova di fronte; la parte successiva focalizza l’attenzione sulle lingue seconde – da distinguere dalle lingue straniere. Seguono, come già detto, due appendici molto utili: una si concentra sui principali approcci e metodi del XX secolo e l’altra sulle principali tecniche didattiche.
Dopo l’introduzione dell’autore si colloca il primo capitolo che funge da premessa all’intero testo in quanto spiega che l’interesse per lo studio della didattica delle lingue ha origine proprio dalla presenza di una società sempre più complessa che nasce nella seconda metà del Novecento e impone il bisogno di un insegnamento di massa: la massa-nazione – come la chiama P. E. Balboni – viene invasa nelle scuole, nei quartieri da persone di diversa nazionalità quindi bisogna fronteggiare il “problema” con i mezzi più adatti. Innanzitutto è necessario in questo ambito avere un approccio interdisciplinare che coinvolga i tre poli del modello didattico: studente, docente e disciplina. Studenti e docenti fanno parte della categoria degli attori del processo glottodidattico. Le loro caratteristiche vengono delineate nel terzo capitolo che si sofferma sui processi di acquisizione e sui ruoli che il docente – visto come insegnante, progettista e autore di materiali didattici – assume nell’atto didattico: in esso vengono citate e spiegate alcune teorie e punti di vista di Danesi, Chomsky, Krashen, Corder, Schumann, Gardner, Gentile, De Sanctis e Margiotta.
Nell’ambito dell’educazione linguistica Balboni colloca tre tipi di contenuti analizzati
nel quarto capitolo: 1) la comunicazione come scambio di messaggi efficaci; 2) la lingua con le sue differenze tra straniera, seconda, etnica e franca; 3) la cultura del popolo in cui si insegna la lingua. In questo capitolo è presentata un’ attenta spiegazione dell’acronimo SPEAKING di Dall Hymes che analizza così l’evento comunicativo in cui si situa la comunicazione.
I tre protagonisti del processo glottodidattico devono necessariamente interagire: ecco che la loro comunicazione viene analizzata nel quinto capitolo basandosi ancora una volta sui parametri di Hymes. Ogni interazione varia a seconda della scena culturale in cui si svolge, del luogo fisico, del ruolo e dell’atteggiamento dei partecipanti: tutte variabili attentamente analizzate dall’autore.
Inoltre tutte le situazioni di insegnamento della nostra lingua si basano su modelli operativi e strumenti che in fin dei conti sono sempre gli stessi e facilmente reperibili. Nel sesto capitolo Balboni passa in rassegna le definizioni di corpus, programma, curricolo (sui quali regna ancora molta confusione da parte dei docenti), spiega come andare incontro ai bisogni dei bambini nella progettazione di un curricolo facendo la distinzione tra i diversi tipi di bisogni, spiega l’esistenza di tre mete educative per l’educazione linguistica (culturizzazione, socializzazione, autopromozione), la differenza tra unità di apprendimento e unità didattiche, tra modulo e credito. Nel capitolo successivo invece vengono classificati gli strumenti e le tecniche didattiche in base alle abilità che si intendono far sviluppare (ricettive, produttive, di interazione, trasformazione e manipolazione dei testi), ci si sofferma sull’acquisizione delle regole procedimento che si divide in scoperta, fissazione e riutilizzo delle stesse – e del lessico e infine dedica un paragrafo alla valutazione e al recupero facendo la distinzione tra verifica, valutazione e recupero e passando in rassegna i vari metodi, gli strumenti e gli eventuali parametri che servono per valutare le singole tipologie di abilità. Altra importantissima parte del capitolo è quella sulle tecnologie tradizionali e informatiche che oggi più che mai possono accompagnare le attività scolastiche.
L’ultimo capitolo di questa prima parte riguarda i due tipi di testo utilizzabili in tutti i corsi di lingua straniera, ovvero testi letterari e testi microlinguistici: vengono analizzati i metodi per avvicinare gli studenti alle due tipologie di testo in base alla scuola che frequentano – e dunque anche all’età – e le varie glottotecnologie che possono affiancarne l’attività.
Dal nono al dodicesimo capitolo si ricopre la seconda sezione del volume che può essere scomposta in due sotto-sezioni. La prima sotto-sezione è relativa agli aspetti tipici delle varie situazioni di insegnamento, alle ragioni per cui ci si accosta alla lingua straniera a seconda della fascia d’età cui si appartiene e alle migliori tecniche da utilizzare per adeguare l’attività alle esigenze dell’utenza che si ha di fronte; si inizia con i bambini fra i 3 e i 10 anni, segue poi la fascia compresa tra gli 11 e i 18 anni e infine la fascia di chi frequenta le università, chi lavora nelle aziende e in altre istituzioni (l’adulto insomma). L’altra sotto-sezione (dodicesimo capitolo) è incentrata sull’uso della lingua straniera come veicolo per l’insegnamento di altre discipline.
In conclusione l’autore inserisce due appendici: l’appendice A si concentra sulla descrizione e sulla storia dei principali approcci e metodi del XX secolo; l’appendice B è un focus sulle principali tecniche didattiche suddivise in base alle abilità che fanno sviluppare.
Carmen Oliva

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