G. Favaro,
I bisogni degli apprendenti. Le risorse e i modelli organizzativi delle scuole. L'italiano L2 per lo studio, Milano, Centro COME, anno.
Comunicare in Italiano, studiare l’Italiano e imparare l’Italiano studiando. Questi i tre importanti
traguardi che ogni giorno gli allievi stranieri delle nostre scuole affrontano con la loro caparbietà e
con la loro voglia di imparare. Graziella Favaro, in questa relazione, spiga chiaramente quanto la materia riguardante la didattica dell’Italiano a bambini stranieri sia delicata e varia nelle sue diverse sfaccettature. La prima cosa importante da considerare, come ormai svariati studi sostengono, è certamente il contesto dell’apprendimento che deve essere comune a quello degli autoctoni, ma deve prevedere atteggiamenti e risorse comuni che possano fungere da ponti e incentivi per lo sviluppo della lingua seconda. Si può raggiungere un risultato di questo tipo solo considerando il grande sforzo che deve sostenere l’alunno che si trova a doversi confrontare con realtà linguistiche e sociali totalmente nuove. Graziella Favaro, nella sua relazione, ci riferisce che una parte consistente di allievi stranieri ha difficoltà nell’uso della L2 per studiare. Questo deficit è la naturale conseguenza del mancato soddisfacimento dei bisogni linguistici degli apprendenti che hanno bisogno di comprendere il contenuto del tema che si sta affrontando, di memorizzare il lessico specifico di un determinato settore (quelli che in Linguistica chiamiamo linguaggi settoriali), concettualizzare i contenuti adoperando nessi logici, spaziali e temporali per poi, infine,
verbalizzare i quello che si è appreso. Quale, allora, il ruolo dell’insegnante (che sia preferibilmente facilitatore) e dell’istituzione formativa in genere? La risposta a questa domanda sta solo nello studio della diversità che esiste tra il linguaggio dell’insegnante (il parlato scolastico definito così da Monica Berretta) e le produzioni linguistiche dell’apprendente. Nel parlato del docente o dei testi di studio è riscontrabile una più frequente subordinazione, la ricorrenza di forme relative e passive, la presenza di un lessico astratto e settoriale. Tutto ciò cozza con le produzioni linguistiche dell’allievo straniero caratterizzate, il più delle volte, da una sola informazione, dal dominio della paratassi, da un sistema verbale che comprende, al massimo, presente, passato prossimo ed imperfetto, da un uso narrativo del discorso anche se l’intento è esplicativo. Per risolvere questo tipo di discrasie l’insegnante, allora, deve cercare di creare contesti significativi d’apprendimento per ancorare temi nuovi a tutto quello che è già noto e rendersi conto dell’immensa utilità dei metodi ludici di apprendimento considerando quello che, secondo me, è il principio dell’insegnamento linguistico odierno e della ricerca in questo campo: l’esistenza di intelligenze plurime e di diversi modi di apprendere.
Giuseppe Interlandi
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